di Gian Gabriele Cau

Nel 1899 il sassarese Enrico Costa fissava in un disegno schematico, nel suo Un giorno ad Ardara, l’architettura del Retablo Minore di Santa Maria del Regno. In tutto corrispondente all’immagine pervenutaci, il polittico si differenziava solo per la presenza di una cuspide raffigurante Maria e Giovanni al piede della croce. E’ questa del Costa la prima testimonianza di quella tavola triangolare conosciuta e descritta a coronamento del Retablo Minore di Ardara dall’americana Georgiana Goddard King, nel suo Sardinian Painting del 1923. Nasce e muore qui la striminzita bibliografia di un’opera dai destini assai contorti, negata per oltre tredici lunghi lustri alla devozione dei fedeli e allo studio degli storici dell’arte ormai rassegnati alla sua dispersione.

L’estate del 2004, nel corso di una ricerca personalmente condotta dallo scrivente presso l’Archivio Documenti della Soprintendenza ai BAPPSAD di Cagliari e Oristano, sono state rinvenute alcune carte relative a questa Crocifissione. Inaspettatamente è riemerso dall’oblio un rendiconto datato 10 settembre 1931, per un restauro eseguito a Sassari dal pittore e restauratore Riccardo De Bacci Venuti su alcune opere del “Reggio Museo G.A.Sanna”, tra le quali, testualmente, un “dipinto a tempera su tavola rappresentante il Crocifisso con la Vergine e S. Giovanni ai piedi della croce. Fondo di paese. Opera di pittore sardo del XVI sec. con influenze romane e ricordi spagnoli. Dimensioni m 0,65 x 0,90”.

 

 

Per una spesa di 1350 lire il restauratore si era impegnato al “riconsolidamento della tavola che era spaccata verticalmente in tutta la sua altezza con lavoro posteriore a tassello ad incastro e traverse di sostegno. Rifermatura di tutta la imprimitura sollevata della tavola e ripreparazione di tutta quella mancate interessante quasi tutta la metà inferiore del quadro. Ripulitura dello spesso strato di vernici ossidate che impedivano la visione dell’opera. Restauro pittorico a reintegrazione di colore pressoché omogeneo. Vernice generale medio lucida e sistemazione della cornice”.

Si deve presumere che l’intervento abbia deluso le aspettative se, appena dieci anni più tardi, la stessa tavola è protagonista di un  serrato carteggio, tra il restauratore Augusto Dallaglio e l’allora soprintendente regionale Raffaello Delogu, per un secondo restauro compiuto a Sassari nel 1941.

Nel preventivo di spesa del novembre 1940 si prende in considerazione, ancora una volta, solo la tavola apicale del retablo minore, denominata “Crocifissione di Ardara”. Forse per un oggettivo minore pregio, la più parte delle tavole non fu considerata meritevole della stessa tutela e il restauro complessivo dell’ancona fu rimandato alla fine degli anni Cinquanta. Per 700 lire il Dallaglio si impegnava a alla rimozione dei listelli posteriori, alla impalchettatura, disinfestazione e consolidamento della tavola; alla stuccatura e doratura a bolo nella cornice; alla pulitura, stuccatura e campitura delle parti mancanti. La considerazione è alta, e ogni fase del restauro è seguita direttamente dal soprintendente in persona.

Il 27 aprile dello stesso anno «la Crocifissione - scrive il Dallaglio - è a buon punto», ma il 21 maggio, il Delogu non pienamente soddisfatto replica: «dare una tinta unita al restauro della parte inferiore della tavola e fondere tale tinta con le soprastanti originali». Completato l’intervento conservativo, è già scoppiata la seconda Guerra Mondiale e la Crocifissione segue gli stessi destini dei reperti archeologi e della quadreria del Museo “Sanna” di Sassari. Nell’ambito di un programma di protezione antiarea, la tavola di Ardara è collocata, con “altre opere medioevali e moderne di proprietà di Enti religiosi del comune di Sassari”, dentro una delle casse sigillate (nella quinta esattamente) e trasferita presso un rifugio dell’Istituto Agrario “Murgia”, di proprietà del “R. Orfanotrofio di Ozieri”, in agro di Siligo.

Nell’ottobre 1945, conclusa l’esperienza bellica, il soprintendente Delogu sollecita il prof. Salvatore Puglisi del Museo “Sanna” per una rapida “consegna agli Enti proprietari delle singole opere, possibilmente ricollocandole nel sito originario”. In una nota alla “Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Sardegna” datata 3 novembre il Puglisi conferma che “il contenuto dei [sei] colli risultò corrispondente all’elenco […] e che la verifica non diede motivo di contestazioni”. Di fatto, tuttavia, l’ispettore onorario cav. Gavino Clemente, che quelle stesse opere aveva ritirato, assumendone anche l’onere della restituzione, per una misteriosa ragione non diede atto alle disposizioni superiori. Solo lo Stendardo processionale di Ardara, che con la Crocifissione aveva condiviso sino a quel momento l’intera odissea, fu restituito all’antica chiesa palatina.

E’ questa del novembre 1945 l’ultima notizia documentata relativa alla tavola dispersa. Poca cosa. Ma tanto bastava per riaccendere la speranza del recupero, nella consapevolezza che questa non fosse stata facile bottino di guerra. Scongiurato il dubbio della depredazione, trovava spazio l’ipotesi di un possibile recupero. Nacque così l’idea di avviare una indagine conoscitiva a tutto campo, coinvolgendo nella ricerca la Soprintendenza Regionale e le due Soprintendenze, Archeologica e per ai BAPPSAD, delle province di Sassari e Nuoro.

L’ipotesi che, forse per un errore di valutazione, la tavola fosse stata considerata estranea e giacesse dimenticata in qualche luogo sconosciuto non era affatto infondata. In realtà, per più di un motivo pareva quantomeno improbabile che quella cuspide derivasse dal Retablo Minore di Ardara. Ragioni di carattere stilistico (la Crocifissione sembrerebbe – secondo il giudizio di chi ha avuto la possibilità di vederla  –  trecentesca e di Scuola Napoletana, mentre il retablo è dato al 1549 circa e riferibile ad una bottega sassarese) si sommavano ad altre di tipo strutturale e filologico. Il retablo che conosciamo, è chiuso da un polvarolo nel lato superiore della cimasa che, di norma, in tutti i polittici di matrice gotica sardo-catalana segna anche il limite estremo del polittico. 

Per di più, pareva inspiegabile e ridondante la raffigurazione nella cuspide di Maria e Giovanni già presenti, con la Maddalena, nella cimasa. E convinceva poco la postura di questi stessi tre personaggi genuflessi e supplichevoli, con il capo volto l’alto come a dialogare con un’entità ignota. Una indicazione assolutamente realistica e plausibile era giunta dal prof. Roberto Coroneo, che in una nota all’edizione critica italiana del Pittura Sarda del Quattrocento-Cinquecento della Goddard King, nel 2000 ipotizzò la primitiva esistenza di un Crocifisso ligneo a tutto tondo e non della Crocifissione dipinta descritta dal Costa e dalla Goddard King.

Una soluzione definitiva e conciliante giunge solo oggi dall’Archivio Diocesano di Alghero), dagli inventari redatti in occasione delle visite pastorali ad Ardara dei vescovi di Alghero Durante de Duranti (1539) e Pietro Vaguer (1549). Tra gli altari registrati nel maggio 1539 ve n’è uno, in prossimità dell’ingresso laterale destro (dove si trova ubicato oggi il Retablo minore), “nomenat vulgarme[n]t de N[ost]ra Sen[y]ora de les recomendades”, una sorta di confraternita di S. Croce al femminile, assai diffusa in quegli anni in Sardegna. Tra gli arredi di questo si registra un inedito baldacchino (“sobre cel”) con la figura di un Crocifisso dipinto (“la figura del crucifici pintat”) (f.8r) che si ritiene qui di potere, a ragion veduta, identificare con la cuspide in esame.

Dieci anni dopo, nello stesso altare si annota la presenza di un nuovo retablo, di buona fattura, caratterizzato da un piccolo simulacro del Crocifisso (“un retaule nou de bona pintura ab un crucifici xic de bulto”, ibidem 120v), nel quale Marisa Porcu Gaias (2002) ha creduto di poter riconoscere il Retablo minore di Ardara, confermando l’ipotesi di Roberto Coroneo. L’esistenza comprovata di un Crocifisso ligneo esterno ma parte esso stesso del retablo, scioglie ogni dubbio  sul problema della misteriosa contemplazione di Maria, della Maddalena e di Giovanni, ristabilendo quell’equilibrio spezzato dalla dispersione dello stesso.

Alla luce di queste recentissime acquisizioni, la storia più antica del retablo ritrova giusta collocazione nei binari della coerenza filologica. In un tempo non meglio definibile (forse attorno al XVII-XVIII secolo) a seguito della scomparsa, o forse di una diversa destinazione, del piccolo Crocifisso, si pensò di colmare quella lacuna adattandovi la Crocifissione dipinta sul baldacchino della stessa cappella di Nostra Signora delle Raccomandate, secondo un impianto descritto e documentato nel 1899 da Enrico Costa.

Il resto è cronaca di questi mesi. L’indagine conoscitiva avviata a luglio 2004 ha avuto gli esiti sperati. Il vescovo mons. Sebastiano Sanguinetti, per il tramite dell’incaricato dei Beni Culturali della diocesi don Renato Iori, nel novembre dello stesso anno è stato contattato dal Soprintendente ai BAPPSAD delle province di Sassari e Nuoro dott. Stefano Gizzi, e informato del ritrovamento della tavola che sarà restituita nel 2007, in occasione del IX anniversario della fondazione della chiesa di S. Maria del Regno.

 

Si ipotizza, in questa sede, che l’uso della cuspide in funzione ornamentale del baldacchino possa essere conseguente allo smembramento (ante 1539) di un polittico di Scuola Senese della seconda metà del xiv secolo. L’assenza della cornice nel margine inferiore lascerebbe, infatti, intendere che la tavola poggiasse sul comparto mediano di un trittico (o, più genericamente di un polittico) assimilabile alla Pala di Ottana, commissionata per l’altare maggiore della cattedrale di San Nicola – questo induce credere la raffigurazione nella tavola centrale del santo eponimo della chiesa – al Maestro delle Tempere francescane dal vescovo francescano Silvestro e da Mariano di Arborea, tra il 1339 e il 1344.

Il non meno sostenuto livello artistico della cuspide di Ardara porterebbe a riconoscere in questa il solo elemento superstite di un altrettanto, importante polittico, forse incentrato su taluni episodi della vita della Vergine, allocato, si ha ragione di credere, anche questo sull’altare maggiore di Santa Maria del Regno fino al 1448, quando Giovanni da Gaeta vi dipinse la pala della Madonna della Misericordia (Cracovia, Museo di Wawel), a sua volta deposta nel 1505 per il magnificente Retablo maggiore di Giovanni Muru e collaboratori.

La figura esile e stirata del Cristo con il perizoma tessuto di veli impalpabili che suscitano suggestivi giochi di trasparenze, e che copre e scende ben sotto il ginocchio destro, ma anche il sangue che si raccoglie in una pozza al piede della croce dipendono dai Crocifissi di Duccio di Boninsegna documentato a Siena tra il 1260  e il 1318 (si veda p.es. la Crocifissione del Museo dell'Opera del Duomo di Siena).

 

Ampie lacune e ridipinture si registrano nel volto e nella veste del San Giovanni e, in misura minore, della Vergine. I due astanti sono assisi presso la croce secondo un modello riscontrabile nella Crocifissione della cuspide del Trittico n. 183 della Pinacoteca di Siena, attribuita a Francesco di Vannuccio, anch’egli documentato a Siena tra il 1356 e il 1389. Specifici punti tangenza si ravvisano nella positura degli arti inferiori dell’evangelista e nella intersezione bassa della traversa sul patibolo della croce, particolare, quest’ultimo, che riemerge nella Crocifissione con la Vergine San Giovanni, San Francesco e San Guido attribuita allo stesso artefice (Parigi, Museo del Louvre).

 Le architetture bizantineggianti della Gerusalemme, rappresentata attraverso le mura scandite da strette feritoie, nelle quali si avverte un qualche intento prospettico, riecheggiano le arcaizzanti invenzioni preduccesche del raffinato Maestro del Dossale di San Pietro in trono e sei storie, e in particolare a quelle dello sfondo della tavola  dell’Annunciazione (Pinacoteca di Siena ).

Nella peculiarità dei lungi chiodi infissi trasversalmente tra il pollice e il palmo della mano, e nel piede sinistro insolitamente sovrapposto all’altro si ravvisano le probabili specificità di un anonimo maestro, per le quali, ci si augura, si possa circoscrivere l’ambito senese ad una cerchia più precisa, fino all’identificazione del possibile autore.

 

Il saggio è pubblicato in:

Gian Gabriele Cau, Ultimi studi sulla Cuspide della Crocifissione di Ardara. L’opera pittorica è di Scuola Senese e realizzata alla fine del Trecento in «Voce del Logudoro» del 17 settembre 2006, p. 3 e del 23 settembre 2007.