di Gian Gabriele Cau

In un articolo apparso sul quotidiano "La Nuova Sardegna" del 18 agosto 1902 (I Candelieri di Ploaghe e di Ozieri), lo scrittore sassarese Enrico Costa descriveva una antichissima consuetudine oggi estinta - l'esposizione dei Candelieri di Ozieri nel giorno dell'Assunta - di cui fu diretto e prezioso testimone, verosimilmente nella cattedrale.

"La Città di Ozieri ha tre candelieri - scrive testualmente il noto divulgatore - quello degli Agricoltori, dei Pastori e delle Maestranze in comune. Sono identici a quelli di Sassari e di Ploaghe, ma nessuno scrittore ne ha mai fatto menzione. Essi passarono sotto silenzio poiché non vengono portati in processione per la città: si collocano semplicemente in chiesa nel giorno dell'Assunta. La loro origine è ignota, ma io li credo contemporanei a quelli di Ploaghe e di Nulvi costrutti ad imita-zione di quelli di Sassari dopo la peste del 1652".

 La notizia trova conferma, ma anche qualche contraddizione, in una nota di Salvatore Pittalis, l'ultima attestazione dell'antico rituale. In Corporazioni delle Maestranze della Sardegna. Note storiche (Gallizzi, Sassari 1921) lo scrittore sassarese scrive: "Nella città di Ozieri, annualmente si ornano tre candelieri dello stesso tipo di quelli in uso a Sassari ed a Ploaghe, però essi non vengono portati in processione, ma fanno semplicemente mostra decorativa nella Cattedrale il giorno della festa della Natività di Maria vergine (l'otto settembre). Essi appartengono a tre ceti di cittadini, il primo è degli agricoltori ed è ornato da spighe, l'altro è dei pastori ed ha il capitello ornato di banderuole, il terzo è degli artigiani ed è decorato con tralci d'uva. Neppure del voto di questi candelie-ri si è potuto rintracciare alcun monumento relativo alla loro istituzione".

  Tralasciando per il momento gli elementi di affinità tra i Candelieri di Sassari, Ploaghe, Nulvi e Iglesias, appare subito chiaro un primo errore in cui incorse il Costa, stabilendo una relazione con l'epidemia di peste che colpì, più che in altra occasione (77 morti), il centro logudorese nel 1652. Il debito degli ozieresi per la liberazione dal temibile morbo, infatti, fu in quell'anno verso san Sebastiano, il cui ritratto nel mese di dicembre manifestò una miracolosa sudorazione, interpretata come un diretto intervento taumaturgico del santo.

  Ben più antica sarebbe in altri centri della Sardegna la comparsa di analoghi modelli di reli-giosità popolare. La stessa Faradda de li Candareri di Sassari appare già attestata nel 1504. Ancor più antica, di derivazione pisana e riconducibile al XII secolo, sembrerebbe S'essida de sos Candaleris di Nulvi, seguita dai Candelieri-Ceri di Santa Maria di Mezo Gosto richiamati nel "Breve di Villa di Chiesa" codice pisano del 1327. Relativamente più recente, infine, e legata all'intercessione Mariana per la peste del 1580, sarebbe quella dei Candelieri di Ploaghe.

  

L'insostenibilità della proposta del Costa muove, dunque, ad una ridefinizione cronologica dell'antica pratica religiosa, da rapportare ad un ignoto episodio pestifero certamente più antico. Forse quello stesso castigo de Dios che aveva stretto d'assedio la vicina Sassari nel 1528 o ancor prima nel 1504. Illuminante, per quanto non risolutivo, è un inventario redatto in occasione della visita pastorale ad Ozieri compiuta dal vescovo di Alghero e Unioni Pietro Veguer nel giugno 1549 (cf. ARCH. DIOC. ALGHERO = ADA, Visite pastorali del vescovo Veguer, f. 128r). Nella chiesa di S. Maria, a destra del coro, è registrata la presenza di "tres siris grans los quals soler fer la hu los massajos j laltre menestrals j laltre los berbegarjos" (tre grandi ceri abitualmente approntati dai Massai, dalle Maestranze e dai Pastori). Gli stessi gremi menzionati dal Costa quasi quattro secoli più tardi.

  La notizia della loro esistenza può essere anticipata quantomeno all'aprile 1539, quando nel più antico inventario reperibile, redatto in concomittanza della visita pastorale di un altro vescovo di Alghero, Durante dei Duranti, tra le pertinenze della parrocchiale è annotato "un bastime[n]t de fust hont estan tres grans siris de sera dins los quals ha fusta" (cf. ADA, Visite pastorali del vescovo De Duranti, f. 23r). Se la nota appare sufficientemente chiara nel descrivere una costruzione di legno che accoglie tre grandi ceri, mostra, invece, alcune ombre nella sezione in cui si afferma che dentro di questi vi è del legno, molto probabilmente delle colonne che animavano il candeliere rendendolo più solido e consentendo di risparmiera sulla quantità di cera.


  Gli stessi ceri sono descritti con maggiore ricchezza di dettagli nell'inventario successivo, datato maggio 1543 (cf. ADA, Visite pastorali del vescovo Veguer, f.115v) come "tres siris grossos ab sos bastjme[n]ts de fusta". Si ha così conferma che ogni cero era supportato da un distinto marchingegno, verosimilmente un solido basamento di legno trapassato da quattro assi. Della imponenza dei tre manufatti, alti quasi quattro metri, ne è testimone "una escala gran serveix p[er] encendre dits siris", una scala grande che serve per accendere detti ceri (ibidem).

  E' assai probabile che le stesse ragioni di natura fondamentalmente economica che a Sassari e negli altri centri avevano indotto all'abbandono dell'originaria grossa candela di cera d'api e all'adozione di un monumentale candelabro ligneo privo di cero, in un tempo remoto abbiano mosso i gremi ozieresi ad uno stesso radicale mutamento, pur nel rispetto dell'originario ideale votivo.

  I documenti del 1539, 1543 e 1549 sono di grande interesse perché attestano la costante e coeva attività consortile di tre gremi ad Ozieri nella prima metà del Cinquecento. Le più antiche notizie riferite dal canonico Francesco Amadu indicavano nel 1636 la costituzione del primo Gremio, allorché sos Mastros domandarono ed ottennero dal Padre Provinciale dei frati Minori di riunirsi presso la cappella di S. Luca nella chiesa di S. Francesco e di potervi seppellire i propri membri. Nella stessa chiesa, nel 1701, presso la cappella di S. Stefano, era il Gremio dei Pastori, negli stessi anni quello delle Maestranze già si trasferiva presso la cappella di S. Giuseppe loro patrono, mentre quello de sos massajos nel 1702 parrebbe documentato presso la cappella di S. Antonio. Dell'esistenza del terzo Gremio, per quanto dato per presente da molti anni, si avevano notizie piuttosto recenti, riferite al 1799, quando i Contadini furono costretti ad abbandonare la chiesa del santo patrono Isidoro (presso la corte dell'attuale sede dell'Istituto Incremento Ippico della Sardegna), per l'insediamento in questa del Monte Granatico.

  A differenza di Sassari, dove Piccapietre, Viandanti, Contadini, Falegnami, Ortolani, Calzolai, Sarti, Muratori, Massai costituiscono nove distinti gremi, portatori di altrettanti candelieri, ad Ozieri "mastros de linna, mastros de muru, carçarajos, frailargios, traperis" si riuniscono attorno ad un solo candeliere "de sos mastros".

  La ragione di questo insolito spirito comunitario andrebbe ricercata nell'intenzione di diffondere quei sentimenti di promozione della vita cristiana, ma soprattutto di difesa degli interessi di categoria e di reciproca solidale assistenza fra i membri, che, considerati nella frammentarietà delle singole corporazioni, non si sarebbero mai potuti raggiungere, per l'esiguità numerica degli affiliati a ciascuna associazione. Una distinzione che si riscontra ancora oggi in piccole realtà urbane quali Nulvi, dove, sorprendentemente, per quanto strutturalmente differenti, sono presenti gli stessi gremi ozieresi, e Ploaghe, dove si registrano due soli candelieri, quello dei Pastori e dei Massai, portati in corteo in concomitanza delle festività del Corpus Domini, dell'Assunta e nell'ottava di quest'ultima. Singolare, invece, è il caso di commistione di Iglesias, dove quattro candelieri-ceri sono espressione della devozione degli antichi quartieri cittadini (Santa Chiara, Mezo, Fontana, Castello), e altri quattro dei gremi (Municipalità, Montagna (Minatori), Vignaioli-Tavernari-Calzolai-Artigiani, Università).

  Probabilmente verso la metà del XIX secolo, ricalcando i destini della vicina Sassari, dove le autorità civili ed ecclesiastiche tentarono di snaturare la componente popolare della festa, riducendola a mera processione religiosa, anche i Candelieri di Ozieri subirono quel processo di margina-lizzazione, che nemmeno l'epidemia di colera del 1855 (circa 750 vittime) poté contenere.

Una cartolina viaggiata nel 1902 edita dall’ozierese Giovanni Satta “Uscita dalla Cattedrale” ritrae un folto gruppo di uomini, molti in costume, sulla gradinata del sagrato del duomo e la rarissima immagine di un candeliere tra due bandiere delle società religiose. Di questo è appena visibile un austero capitello cilindrico, parte della croce sovrastante e una minima porzione del fusto. Assenti tralci di vite e banderuole. Si potrebbe ipotizzare, invece, che la croce apicale fosse confezionata con artistico intreccio di spighe, per le quali si propone l’identificazione in quello del Gremio degli Agricoltori. Nel modello che emerge dalla sgranata ma preziosissima immagine – conclude lo studioso – si ha riscontro delle affermazioni del Costa e del Pittalis: il candeliere è del tutto simile a quelli della nota Faradda sassarese, maggiormente a quelli di dimensioni più modeste.

  Un sussulto di vitalità traspare in una nota datata 1 giugno 1909, con la quale il vescovo Fi-lippo Bacciu, per il tramite del cerimoniere R. Canu, dispone un rigoroso "ordine da osservarsi nella sfilata di tutte le processioni". Ogni parata - non solo quello dell'Assunta, dunque - sarebbe stato aperto dall'incedere della Società di S. Eligio (patrono dei fabbroferrai), seguita da quella della Vergine degli Angeli e da quella della Vergine del Rimedio. Nel quarto ordine si sarebbero schierati i Candelieri accompagnati dalle bandiere degli Agricoltori e dei Pastori. A seguire: le Società di Valverde (ortolani), di Monserrato, del S. Crocifisso, dell'Immacolata, dei Luigini, di S. Zita, del Sacro Cuor di Gesù, dell'Asilo (Figlie di Maria e Dame di Carità), le Terziarie e le Filippine; quindi in chiusura: le Confraternite del Rosario e di S. Croce, il clero regolare, la Parrocchia di S. Lucia e la Parrocchia del Seminario (Capitolo), (cf. ARCH. DIOC. OZIERI, cart. G1/26 Associazioni e organizzazioni religiose, foglio sciolto). Trova così conferma, in questo documento che costituisce l'ultima attestazione della permanenza dell'antico rituale, quel carattere itinerante sin qui presunto ma misteriosamente sfuggito al Costa e al Pittalis.

 

 A conferma del lento ed inesorabile declino di una tradizione superata da nuove forme di religiosità popolare (o forse solo ennesima vittima della Grande Guerra), in un inventario dei beni presenti nella Cattedrale di Ozieri, stilato nel giugno 1918, non si registra alcun candeliere processionale (cf. ARCH. CAPIT. OZIERI, cart. Pratiche amministrative, fasc. Inventari - questionari, foglio sciolto).

  Ma se pure si ritenesse probabile che all'epoca questi fossero custoditi in altra sede, non resterebbe oggi che il solo rammarico per la sicura perdita di una festa sentita e solenne, di un frammento non trascurabile della storia più antica della comunità ozierese. A meno che, così come è stato ad Iglesias (dove la tradizione è stata ripristinata da appena dodici anni) le numerosissime Società Religiose di Ozieri, che rappresentano la naturale discendenza degli antichi gremi soppressi per leg-ge nel 1864, possano e vogliano raccogliere - al di là del folclore - l'eredità di un passato ricco di suggestione e di un profondo sentimento religioso in Maria.